Aosta | Orazione di Carlo Ghezzi per il 25 Aprile

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Aosta, 25 aprile 2023
Manifestazione per il 25 Aprile
Carlo Ghezzi, vice Presidente vicario nazionale Anpi


Porto il saluto delle Associazioni resistenziali alle autorità civili, militari e religiose e
a voi tutti che siete qui convenuti così numerosi.
Oggi ci incontriamo per festeggiare e per celebrare insieme il 25 Aprile e per
ricordare un passaggio fondamentale nella storia del nostro paese. Settantotto anni or
sono il Comitato di Liberazione Nazionale dichiarava a Milano e in tutto il Nord
Italia lo sciopero generale. La popolazione insorgeva e i partigiani occupavano le
città; l’Italia riconquistava definitivamente la libertà, la democrazia e il suo onore e il
fascismo veniva definitivamente sconfitto. La terribile seconda guerra mondiale
giungeva al suo termine. Si aprivano speranze per un mondo senza guerre, senza
genocidi, senza razzismi.
Non possiamo tuttavia permetterci di dimenticare le gravi colpe delle quali si erano
macchiati in passato gli Italiani. Non possiamo dimenticare che il fascismo è stato
portato in Europa proprio dal nostro paese e che il regime, dopo aver soppresso le
libertà democratiche usando la violenza e insinuandosi nelle divisioni tra le forze
antifasciste, aveva promulgato le ignobili leggi razziali, aveva promosso sanguinose
guerre coloniali connotate da tante stragi perpetrate in Africa e poi in Jugoslavia e
infine aveva scatenato il secondo conflitto mondiale a fianco di Hitler dichiarando
guerra a tanti paesi e trascinando l’Italia nel baratro. Non possiamo dimenticare che
alla fine del 1942 dopo che Stalingrado aveva resistito all’assedio tedesco e dopo che
Rommel era sconfitto in Africa tutta l’Italia comprese che la guerra era persa e si
interrogò su come uscire da quella tragedia. Si interrogò l’esercito, la Chiesa, la
Corona, l’imprenditoria, gli intellettuali, una parte dello stesso fascismo. Purtroppo si
interrogarono in tanti ma non si mosse nessuno. Si mobilitarono solo i lavoratori con i
grandi scioperi del marzo 1943 e con quelli ancor più imponenti della primavera del
1944 che impressionarono la grande stampa internazionale che ne scrisse titolando a
caratteri cubitali. I lavoratori diedero con quelle azioni un colpo formidabile al
fascismo e a Mussolini disvelandone le debolezze. I lavoratori seppero svolgere una
funzione nazionale e seppero prendere nelle loro mani il destino del paese e sostenere
unitariamente la Resistenza fino alla insurrezione vittoriosa del 25 aprile del 1945.
Nessun altro ceto sociale ha saputo svolgere in Italia una funzione così importante.
Sappiamo quanto assurda sia la descrizione che taluni commentatori ci propongono
per denigrare la Resistenza cercando di dipingerci una Italia dove vi sarebbero stati
pochi fascisti, pochi antifascisti e una massa grigia, inerte, indifferente composta
dalla stragrande maggioranza della popolazione.
La Resistenza fu combattuta da 250.000 partigiani che ebbero più di 60.000 morti,
molti dei quali assassinati dopo essere stati sottoposti a indicibili torture. I partigiani
combattenti poterono sopravvivere perchè aiutati e sostenuti dalla popolazione civile
che permise loro di approvvigionarsi e di nascondersi quando era necessario. La
Resistenza fu sorretta dai 650.000 militari italiani che si trovavano sui diversi fronti
all’estero e che vennero internati nei lager tedeschi perché si rifiutarono di andare a
servire la Repubblica Sociale di Salò e ben 50.000 di loro vi trovarono la morte.
Pensate quanto più sangue sarebbe stato versato dagli Italiani e dagli alleati Anglo-
Americani se costoro avessero fatto una scelta diversa. Resistenza fu la scelta di una
parte importante dell’Esercito italiano di schierarsi con gli Alleati e che fu pagata con
terribili massacri come quello di soldati italiani a Cefalonia. La Resistenza fu
sostenuta dai numerosissimi comitati del Comitato di Liberazione Nazionale che si
formarono nei quartieri e nei paesi del Centro-Nord dell’Italia, dalla rete dei militanti
del Cln operanti nei luoghi di lavoro, dal contributo dato da tante parrocchie; non
possiamo dimenticare i 250 sacerdoti deportati e i 210 sacerdoti che vennero fucilati
rei di difendere dalla barbarie i loro parrocchiani. 40.000 italiani sono stati deportati e
uccisi nei campi di sterminio. Con la Resistenza erano solidali tantissime famiglie
angosciate per i loro cari al fronte a combattere una guerra perduta e coloro che erano
stati inviati sotto le armi furono oltre 4 milioni e mezzo. Contro la guerra erano
coloro che soffrivano per la mancanza dei generi di prima necessità con i prezzi che
salivano alle stelle in città sottoposte notte dopo notte ai bombardamenti. Molti
lavoratori e numerosi macchinari vennero brutalmente deportati in Germania per
alimentare le traballanti capacità produttive della macchina bellica tedesca e molti
altri furono colpiti nella fase finale della guerra per la loro scelta di difendere gli
impianti industriali, di difendere le loro fabbriche, le grandi infrastrutture del paese, i
porti, le centrali elettriche, le gallerie e i ponti dalla furia e dalla vendetta dei nazisti
in fuga. Resistenza furono i centomila lavoratori scioperanti nel marzo del 1943 e il
milione di scioperanti del marzo del 1944. Sommiamo questi numeri e ci rendiamo
conto di quanta parte del popolo italiano chiedesse la fine della guerra, della
occupazione straniera, il ritorno alla democrazia, alla pacifica convivenza civile, ad
una maggior giustizia sociale, alla pace.
Il prezzo pagato dai lavoratori è stato assai pesante. Se sono stati più di 40.000 gli
italiani che sono stati deportati nei campi di concentramento nazisti tra loro oltre
12.000 furono i lavoratori arrestati e deportati dopo quelle mobilitazioni. Tra
indicibili sofferenze morirono quasi tutti; dai campi di sterminio ne sono tornati vivi
pochissimi.
La Resistenza e le lotte del lavoro che a differenza di quanto accaduto negli anni
Venti avevano saputo operare con una impegnata unità permisero a De Gasperi di
sedersi con dignità al tavolo della pace a Parigi nel 1947, nonostante l’Italia fosse
stato uno dei paesi promotori della guerra. La Resistenza vittoriosa ha portato il
nostro paese alla elezione, al voto delle donne, della Assemblea Costituente eletta dal
popolo, alla promulga della Costituzione che affonda le proprie radici nella
Resistenza al fascismo dove sta scritto al suo primo punto che “L’Italia è una
Repubblica democratica fondata sul lavoro”.
Una Costituzione che va applicata integralmente. Che va difesa dai tanti attacchi che
continua a subire e che va fatta vivere nella sua pienezza e nelle sue potenzialità.
Quando nel 1945 è terminato il conflitto in Europa i resistenti di tutti i paesi
dichiararono solennemente: “mai più guerre, mai più persecuzioni razziali”.
Purtroppo la storia è andata da una altra parte, Guerre e persecuzioni sono apparse in
forme e modalità impressionanti e il mondo stenta ad individuare un equilibrio
solidale e condiviso.
Sappiamo che molti problemi economici e sociali rimangono irrisolti a partire da
quello di un lavoro stabile e dignitoso per i nostri giovani, da uno sviluppo
ambientalmente compatibile, dal consolidamento di un sistema di diritti e di
protezione sociale che vada incontro si bisogni dei cittadini, da una convivenza civile
che metta ai margini razzismi e discriminazioni. Non è più accettabile che si
ripresentino nel nostro paese movimenti neofascisti e neonazisti che, perseguendo la
politica della paura e della discriminazione, diffondono il virus della violenza,
dell’intolleranza e dell’odio come ha messo in evidenza l’attacco subito dalla Cgil il 9
ottobre di due anni fa. Le Istituzioni devono operare, con chiarezza e con
determinazione, perché lo Stato manifesti pienamente la propria natura antifascista in
ogni sua articolazione impegnandosi sul terreno della memoria e della conoscenza
storica. Chiediamo anche da questa piazza che si sciolgano per legge le
organizzazioni neofasciste e neonaziste che si contrappongono ai principi sanciti
dalla Costituzione repubblicana e che violano le leggi Scelba e Mancino.
Sappiamo che senza memoria del proprio passato, senza coscienza del proprio
presente un popolo non va da nessuna parte e rischia di ricadere nei drammi dai quali
è faticosamente uscito. Bisogna invece ricordare, analizzare, capire, far sì che gli
errori e gli orrori non si ripetano; anche per questo siamo qui oggi.
Non dimentichiamo che ci sono crimini che moralmente non cadono mai in
prescrizione e vi sono valori imperituri fondanti la nostra civiltà: gli uni e gli altri non
potranno essere mai confusi anche se sono trascorsi da allora molti anni. La pietà vale
per tutti coloro che sono morti ma non sarà mai ammissibile porre sullo stesso piano
coloro che si sono battuti per la libertà e per la democrazia con coloro che si sono
battuti perché prevalesse il nazi-fascismo e i suoi orrori. Pertanto anche l’azione tesa a
contrastare i tanti rigurgiti che si manifestano richiede il dispiegamento di una lunga,
incessante e rigorosa battaglia culturale, di straordinario impegno civile.
Esprimiamo altresì preoccupazione per dichiarazioni, decisioni e comportamenti di
alcuni rappresentanti delle istituzioni e della politica che in vari casi sono apparse
divisive e del tutto inadeguate rispetto al ruolo esercitato. 
Si impone per tutti una netta condanna del fascismo riaffermando nel 25 aprile, il
giorno che unisce tutti gli Italiani, il significato più profondo della Liberazione.
Sono trascorsi tanti anni dalla fine del secondo conflitto bellico, la nostra società ha
fatto indubbiamente tanti passi in avanti, mentre nuove sfide ci incalzano. Si apre una
fase nuova carica di preoccupazioni ma anche di speranze. Sappiamo che ogni crisi
contiene da sempre in sé dei pericoli ma anche delle grandi opportunità che bisogna
saper cogliere.
Dopo il trentennio dei gloriosi anni dello sviluppo economico post-bellico e della
estensione dello Stato sociale in queste ultime stagioni è andato in crisi il trentennio
della globalizzazione e del pensiero unico che vi ha fatto seguito. È indubbiamente
andato in crisi un modello di globalizzazione senza regole affermatosi dopo la caduta
del muro di Berlino e basato sulla illusoria capacità dei mercati di autoregolamentarsi.

È andata in crisi l’idea di fare i soldi con i soldi anziché con la
produzione di ricchezza frutto del lavoro e dei lavori. In questi anni tuttavia si è
svalorizzato e precarizzato il lavoro e si sono così create delle diseguaglianze che non
hanno eguali nella storia dell’umanità.
Oggi è in corso nel mondo un terremoto politico, economico e sociale con
l’intrecciarsi della crisi economica con quella pandemica, con quella ambientale, con
una crisi della democrazia che spinge milioni di persone ad estraniarsi da un percorso
partecipativo con il diffondersi dell’astensionismo che lascia spazio a movimenti
populismi con tratti preoccupanti e a forti caratteri eversivi che si manifestano in
Europa come nelle Americhe. Il tutto sotto la cappa terribile di una guerra scatenata
da Putin nel cuore dell’Europa con l’invasione della Ucraina.
Una guerra sanguinosa che bisogna assolutamente fermare anche alla luce del
minacciato ricorso all’uso di bombe nucleari che da un carattere nuovo quanto
incredibilmente pericoloso alla guerra in atto e che può essere in ogni momento
provocato dal precipitare degli eventi.
Occorre far cessare i combattimenti e i massacri in corso, occorre giungere
rapidamente ad un cessate il fuoco, all’avvio dell’azione diplomatica che sappia
avviare trattative concrete, a ricercare un accordo condiviso, una pace giusta. Non è
possibile lasciare l’iniziativa diplomatica solo alla Turchia o alla Cina, occorre
un’azione determinata dell’Europa ma purtroppo in tale contesto l’Unione Europea e i
suoi Governi appaiono incredibilmente inerti e sanno solamente emanare messaggi
esasperatamente bellicisti. E’ purtroppo la palese rinuncia ad avere un proprio
autonomo ruolo, un comportamento che la storia non potrà che giudicare
severamente.
Gli orrori della seconda guerra mondiale, le tante guerre che la hanno seguita pare
invece che non ci abbiano insegnato niente.
Il sonno della ragione genera mostri. Bisogna fermare la guerra, le bombe, i morti, le
tragedie. Gli scempi della guerra non hanno mai risolto alcunché ma hanno sempre
fatto pagar prezzi indicibili alle persone e ai popoli.
Dalla piazza principale di questa città innalziamo le nostre preoccupate voci; lo
facciamo noi che siamo gli eredi di coloro che seppero sconfiggere il nazionalismo
del fascismo del nazismo che generarono tanti errori e tanti orrori; noi che siamo gli
eredi di coloro che in quella terribile stagione si batterono per costruire un mondo di
libertà, di giustizia e di pace.
Noi che auspichiamo con convinzione che le armi tacciano, che non si rilancino
ulteriori escalation militari. Noi che siamo stati tra gli organizzatori della grandiosa
manifestazione di Roma per la pace che si è tenuta nel novembre scorso ribadiamo
con tenacia la nostra richiesta di cessare il fuoco e di avviare una trattativa vera e
concreta. Noi sosteniamo con convinzione quanto propone l’alta autorità morale del
Papa.
L’Italia può svolgere un ruolo di raffreddamento delle tensioni e di pacificazione
attraverso gli strumenti della diplomazia e del negoziato. Così rafforzerebbe il suo
prestigio internazionale e il suo ruolo di ambasciatrice di pace nel mondo.
Chiediamo atti di responsabilità e di saggezza. Il delirio bellicista che oggi sembra
dilagare va sconfitto dalla forza tranquilla di paesi e di popoli che sanno che la
guerra, oltre a lacrime, sangue e devastazioni porta solo alla sconfitta di tutti.
Riprendiamo allora con passione e con vigore il grido di Sandro Pertini: svuotare gli
arsenali, riempire i granai. Sta ai Governi e ai popoli fare la propria parte per portare
il mondo ad approdi positivi evitando di farlo precipitare negli errori e negli orrori
che hanno caratterizzato la prima metà del Ventesimo secolo e operando invece per
costruire delle società più giuste in un contesto di pace e di sicurezza per tutti.
Abbiamo allora bisogno più che mai di idealità alte, di riferimenti e di valori forti,
come li seppero costruire e testimoniare quelle persone che seppero scegliere tra il
1943 e il 1945, che seppero esprimere la loro rivolta morale con grande coraggio e
con grande preveggenza, abbiamo bisogno di rinnovare le loro speranze. Anche i loro
sogni. Tante donne e tanti uomini si sono impegnati e si sono battuti durante la
Resistenza, hanno rischiato, hanno sofferto, hanno pagato per ridarci libertà, dignità e
diritti. Facendo vivere la loro memoria e i loro valori dobbiamo andare avanti e
riproporre alle attuali e alle future generazioni la speranza di un mondo di pace.
Abbiamo bisogno di giovani, di donne e di uomini ancora capaci di indignarsi di
fronte alle ingiustizie, alla carenza di democrazia, di libertà, di pace come seppero
fare coloro che seppero tra il 1943 e il 1945 scegliere di stare dalla parte giusta. Come
seppero fare quei resistenti che oggi ricordiamo che pagarono le loro scelte
coraggiose con il prezzo supremo della vita. Nella riproporre la memoria di coloro
che seppero battersi per l’affermazione di quei valori facciamo del 25 aprile il giorno
della speranza
Ripartiamo dalla memoria di coloro che si sono battuti e hanno pagato prezzi pesanti
per ridare la libertà a chi c’era, a chi non c’era e per garantirla anche a chi si batteva
contro.
Uomini e donne ai quali la democrazia italiana deve moltissimo.
Davanti a loro inchiniamo le nostre bandiere.
Viva la fratellanza tra i popoli.
Viva la Resistenza.
Viva la Costituzione italiana.
Viva la pace.

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